Olio esausto da frittura: come smaltirlo
L’olio esausto da frittura è una delle fonti di inquinamento più pericolose per il pianeta. Ancora troppe persone gettano questo rifiuto negli scarichi delle loro abitazioni senza però pensare ai danni che arreca ai nostri mari, oggi ancora più nel costante pericolo di un ecosistema dagli equilibri precari che nonostante la presenza di depuratori vengono raggiunti attraverso le reti fognarie. L’alta temperatura a cui viene sottoposto, provoca una modifica alla sua struttura polimerica oltre al conseguente sprigionarsi di sostanze inquinanti per la carbonizzazione dei residui alimentari. Se disperso nel sottosuolo forma una sottile pellicola attorno alle formazioni terrose creando un’innaturale separazione tra piante, terra ed elementi nutritivi. Depositi di olio sul terriccio impediscono l’ossigenazione delle piante e dunque un corretto e vitale sviluppo della flora. I suoi residui possono danneggiare le falde freatiche e raggiungere pozzi d’acqua anche ad una considerevole distanza: pensate che sarebbe sufficiente un litro di olio mescolato ad un milione di litri d’acqua per alterarne il gusto con grave rischio per la salute. Nel caso di impianti fognari inadeguati, lo smaltimento dei residui oleosi influenza negativamente la corretta attività dei depuratori con conseguenze in termini di ecologia e costi supplementari. E’ importante smaltire in modo corretto l’olio vegetale esausto. Attualmente in Sardegna sono presenti contenitori per la raccolta differenziata in tutte le province Sassari, Cagliari, Nuoro, Oristano. Se invece non fossero presenti nel luogo in cui abitate potete rivolgervi all’isola ecologica più vicina. In alcuni comuni della Sardegna inoltre è previsto anche il passaggio porta a porta, in modo da favorire gli utenti onde evitare spiacevoli inconvenienti. Il nostro consiglio è: una volta raffreddato, versare l’olio fritto in una bottiglia di plastica o un contenitore da tenere sotto il lavandino e riempire ogni volta che friggete; poi contattateci per concordare insieme il ritiro gratuito: darete una bella batosta all’inquinamento, farete un piacere all’ecologia e soprattutto a voi e i vostri figli.
Olio di palma: cosa è e da cosa è composto
Gli oli di palma e di palmisto contengono altissime quantità di acidi grassi saturi, estremamente dannosi per la salute di arterie e cuore.: uno studio pubblicato nel 2016 dall’EFSA (EUROPEAN FOOD SAFETY AUTHORITY) segnala anche che a temperature superiori ai 200 °C questi olii sviluppano sostanze (2 e 3-3- e 2-monocloropropanediolo, MCPD, e relativi acidi grassi) che, ad alte concentrazioni, sono genotossiche, ovvero possono mutare il patrimonio genetico delle cellule; Nel gennaio del 2018 l’EFSA ha pubblicato un aggiornamento della sua valutazione del 3-MCPD, innalzandone la soglia tollerabile da 0,8 microgrammi per kg al giorno a 2 microgrammi per kg al giorno; Anche altri olii vegetali sviluppano le stesse sostanze nocive, anche se in concentrazioni minori, con effetti negativi per altri aspetti della salute non legati ai tumori. L’olio di palma ha anche un impatto sull’ambiente e la sua coltivazione (così come quella di altre piante da olio che potrebbero sostituirlo) è considerata poco sostenibile; In conclusione è consigliabile non abusare di cibi contenenti olio di palma. L’olio di palma viene estratto dai frutti dell’albero della palma:è solido a temperatura ambiente, come il burro e altri grassi animali. Se non viene raffinato, presenta un colore arancione perché ricco di betacarotene (un precursore della vitamina A). Più utilizzato dall’industria alimentare è l’olio di palmisto, estratto dai semi della stessa pianta. È di colore giallo e contiene una elevata quantità di acido laurico, un acido grasso saturo. L’olio di palma contiene circa il 50% di grassi saturi, mentre l’olio di palmisto può contenerne fino all’80%. Cosa sono gli acidi grassi? Gli acidi grassi sono, per così dire, i mattoni di cui sono fatti i lipidi, quelli che in linguaggio comune chiamiamo appunto “grassi”. Sulla base della struttura chimica gli acidi grassi sono suddivisi in tre grandi gruppi: saturi, se non presentano doppi legami nelle catene carboniose che li compongono; monoinsaturi se vi è un solo doppio legame; polinsaturi con due o più doppi legami. Più numerosi sono i doppi legami, più fluido è il grasso. Gli acidi grassi saturi aumentano il colesterolo LDL nel sangue e quindi il rischio di malattie cardiovascolari. In generale i cibi di origine animale sono più ricchi di acidi grassi saturi di quelli di origine vegetale (ma non sempre, come nel caso dell’olio di palma o dell’olio di cocco). Ci sono però delle eccezioni: gli acidi grassi polinsaturi del gruppo omega 6 riducono i livelli di LDL, mentre gli omega 3 riducono i trigliceridi, un altro tipo di grasso circolante nel sangue che favorisce l’aterosclerosi. Non tutti gli acidi grassi insaturi, d’altra parte, sono sicuri per la salute: alcuni presentano doppi legami in una configurazione che in chimica si chiama “trans” e hanno effetti simili a quelli dei grassi saturi. Gli acidi grassi trans si formano in seguito a idrogenazione dei grassi vegetali, un processo necessario anche per produrre la margarina. Perché l’olio di palma viene usato dall’industria alimentare? L’olio di palma costa poco ed è semisolido, quindi è particolarmente adatto alla preparazione dei dolci. In pratica sostituisce il burro, di cui condivide alcune proprietà nutrizionali: secondo i dati INRAN, nell’olio di palma ci sono 49,3 grammi di grassi saturi su 100 grammi, nel burro (un derivato del latte) ce ne sono 51,3. Ovviamente queste percentuali possono variare (seppure di poco) a seconda del tipo di palma o del tipo di latte che si utilizza. L’olio di palma non è l’unico grasso vegetale con un tale livello di acidi grassi saturi: anche il burro di cacao, contenuto in molti prodotti dolciari per la stessa ragione per cui si usa l’olio di palma, raggiunge i 60 grammi di grassi saturi su 100 grammi di prodotto.
Con quale olio conviene friggere?
La frittura è il procedimento di preparazione degli alimenti che mette più a dura prova la stabilità dell’olio: quando riscaldato ad alte temperature, si da il via ad una ossidazione da cui si formano alcune sostanze nocive. Una temperatura troppo elevata o un uso prolungato dello stesso olio possono rendere più marcati gli effetti di queste reazioni. Riguardo l’olio da scegliere, non ce n’è uno migliore in assoluto, ci sono però alcune regole da rispettare: Un olio è più resistente se contiene una quota maggiore di acidi grassi monoinsaturi. È il caso dell’olio di oliva, il cui contenuto di acido oleico è superiore a tutti gli altri. Ma anche l’olio di arachide ha un’alta resistenza che lo rende ideale per una buona frittura. L’extravergine di oliva, non essendo raffinato e quindi dotato di una scorta di acidi grassi liberi superiore, ha una quota di sostanze che lo rendono pregiato, ma che ad alte temperature vengono degradate, assieme all’aroma, che tende a svanire. Ecco perché, se non a basse temperature o in presenza di una bassa acidità (ma il pH non è indicato in etichetta), il suo utilizzo nelle fritture non è consigliato. Gli oli di semi di girasole, mais e soia tendono a deteriorarsi facilmente se esposti all’aria e ad alte temperature. Dunque, in sintesi, l’olio di oliva non extravergine e quello di semi di arachidi, soprattutto per le preparazioni dolciarie, hanno un profilo più adatto allo stress di una frittura. Merito anche di un punto di fumo adeguato, che rappresenta la temperatura a cui scaldando un certo olio si comincerà a produrre fumo in modo continuo. Non bisognerebbe mai friggere a una temperatura inferiore a 160 e superiore a 180 gradi. È proprio in questo intervallo che, con un tempo adeguato, si ottiene la migliore cottura senza la liberazione di sostanze tossiche. Sebbene di nessun olio si conosca con esattezza il punto di fumo, quelli di oliva e di semi di arachidi rientrano sicuramente nell’intervallo: nonostante le dovute variabilità tra i singoli prodotti. Per essere sicuri raccomandiamo di usare sempre un termometro da cucina. Per ottenere una buona frittura, oltre al tempo e alla durata della cottura, è fondamentale cucinare in un’adeguata quantità di olio. Quando se ne usa poco e si cuoce tutto assieme, la temperatura scende anche fino a 150 gradi e gli alimenti tendono ad assorbire l’olio, senza completare la cottura. Consigliamo invece, di usare più olio e friggere gli alimenti di volta in volta, scolando quelli pronti e mettendo nella padella quelli da cuocere e di evitare il riutilizzo di olio.
Perché l’olio di palma è nocivo ?
A differenza di ciò che dicono le grandi multinazionali sull’olio di palma negandone la sua alta tossicità, vi spiegheremo i motivi per i quali sarebbe meglio non utilizzarlo. Partiamo dal fatto che chiunque abbia lavorato come cuoco o addetto alle friggitrici nelle cucine dei ristoranti, sa già che per togliere l’olio di palma dalla lattina ci vuole la cazzuola perché anche a 30 gradi di temperatura rimane allo stato solido. Per questo motivo è nato l’olio di palma bifrazionato. In definitiva per renderlo più liquido viene tagliata la sua molecola. Quest’ultima viene assunta attraverso i cibi fritti ma non viene riconosciuta dal nostro organismo finendo così col depositarsi senza riuscire ad espellerla. Vi siete mai chiesti come facciano ad essere così dense certe famosissime cioccolate in barattolo? Eccovi svelato l’arcano 🙂